Di origini antichissime, su di una collina che separa il Chianti dal Valdarno vi è Montebenichi. Un borgo ben conservato, nel quale ogni passo al suo interno fa rivivere la sensazione di trovarsi in un’autentica località tardomedievale.
Toponimo e castello ebbero origine da un insediamento longobardo, di cui oggi restano poche tracce se non alcuni tratti di cinta muraria e le vestigia di una torre; queste ultime sono ben visibili quando si giunge nel borgo, dopo aver oltrepassato case coloniche “leopoldine” contornate da querce secolari ricche di charme e pregiatissime dal punto di vista storico. Teatro di scontri per la sua posizione al limitare del territorio senese e quindi contestato dalle Repubbliche di Firenze e Siena, nel 1478 vi fu uno degli eventi più cruenti e disastrosi della Valdambra: saccheggiato ed incendiato dagli aragonesi di Carlo V, ciò che rimase dell’antico fortilizio furono poche macerie e soltanto ad inizio del XVI° secolo subì la ricostruzione, con la conformazione urbanistica che oggi conosciamo.
Salendo i metri che ci separano dal borgo, si fa incontro della certa testimonianza sul popolamento di Montebenichi, cioè la Pieve di Santa Maria Assunta in Altaserra, un edificio sacro di origine paleocristiana contornato da cipressi e olivi, riedificato nel corso del XII° secolo: un luogo di fede intrigante che funge da perfetta premessa al centro abitato che ci attende più in alto, al suo interno la parrocchia conserva ancora oggi una fonte battesimale ed un’acquasantiera in pietra scolpita rispettivamente del 1596 e del 1574.
Una volta all’ingresso di questo delizioso borgo si staglia palazzo Stendardi, posto di fronte ad un’altra chiesa in stato di abbandono (la chiesa della Madonna del Conforto, luogo in cui è ben conservata una immagine della veneratissima Madre Misericordia), immerso tra pini neri, cipressi e dei graziosi giardini, qui si può leggere del celebre Gregorio Stendardi detto Goro da Montebenichi, capitano di ventura militante delle truppe di Giovanni dalle Bande Nere definito allo stesso tempo “manesco attaccabrighe” e valoroso capitano al servizio di Francesco Ferrucci, fedele al punto tale da fare scudo con la propria persona nel tentativo di salvare il suo capitano.